Per l’alba c’è ancora un po’ di tempo, il sole se la prende con più calma di noi: sono solo le 5 di una mattina d’estate quando inizia la giornata delle volontarie chi vivono qui. Chi non abita al Rifugio arriverà poco dopo. È ora di iniziare.
Ci sono ristoranti eleganti con accompagnamento di musica dal vivo e qui la colonna sonora è fatta di grugniti, nitriti, ragli, belati, muggiti… questo, almeno, mentre prepariamo le colazioni: dopo, quando viene distribuito il cibo (fieno, verdure: a ciascuno il suo, secondo le necessità individuali), il suono è quello di centinaia di bocche che masticano con soddisfazione.
Gli abitanti di Miletta sono tanti, così come le zone in cui vivono, e l’alimentazione, insieme alla pulizia, occupa tutta la mattinata.
Le prime a ricevere il pasto sono pecore e capre che entrano nel “Piazzale”, lì dove vive chi è un po’ più fragile.
Intanto, da un’altra parte del Rifugio, tocca agli abitanti dell’asilo, l’area dove vivono gli animali con disabilità e i cuccioli che hanno bisogno di particolari attenzioni e cure.
Via via raggiungiamo tutti: daini e cervi che non possono essere rilasciati a causa di amputazioni o ferite che rendono loro impossibile sopravvivere nei boschi (non sempre è così, per fortuna); l’area-nutrie, dove il menù prevede una montagna di carote per Goffredo e company e una sosta-gioco per Mariaflora, tra rincorse e schizzi dalla piscinetta (per le nutrie, non per gli umani!); i cinghiali e i maiali vietnamiti…
Se è uno dei giorni in cui arriva il fieno (qui, finora, non abbiamo un fienile tutto nostro e dobbiamo farlo portare un po’ per volta dal deposito: tempo e spese in più, ma presto ti coinvolgeremo in un grande progetto per cambiare – in meglio! – la situazione), è festa grande per le mucche nel paddock dei box 15 e 16, perché hanno la loro dose di integrazioni.
La loro gioia è coinvolgente e rende un po’ meno pesante il lavoro extra delle volontarie: quando arrivano le rotoballe bisogna disinfettare il mezzo prima di farlo entrare come misura di prevenzione della PSA (peste suina africana); nel Piazzale, dove non ci sono portaballoni, il fieno va inserito e trasportato in grandi sacchi verdi, prima di distribuirlo nei vari punti-ristoro; infine, quando la ripartizione è completata, si riaprono i cancelli e coloro che fino a un attimo prima avevano controllato con attenzione e impazienza i preparativi si precipitano a gustare il fieno fresco.
“Dare da mangiare” è un’espressione neutra rispetto all’impegno (e allo sforzo fisico) che c’è dietro. E lo stesso vale per l’acqua: non è una semplice questione di “aggiunta”, ma il cambio implica rovesciare i contenitori, pulire con una spugna abrasiva e riempire di acqua fresca e pulita tutte le vasche dislocate nei vari punti del Rifugio, anche più volte al giorno, ora che il caldo è arrivato. E anche perché, a volte, i rifugiati preferiscono il divertimento alla collaborazione: lo sa bene Mariaflora. “Nell’area di cinghiali e maiali vietnamiti passo un’infinità di tempo a cambiare le vasche delle loro acque, mentre loro mangiano contenti. Appena finiscono, si divertono a fare il bagno nelle vasche appena pulite… Sporcandole nuovamente, nonostante i miei rimproveri” (ma tanto lo sanno che ha un debole per loro 🙂).
È faticoso come sembra? Sì, forse anche di più. Eppure, se chiedete a Diletta di raccontare quello che fa in un giorno al Rifugio, la sua risposta non cita la fatica: “Mentre si aspetta che le grosse vasche del Pratone vengano riempite, ci sediamo lì accanto a osservare ciò in cui siamo immersə ed è una visione spettacolare vedere la pace e l’armonia che regna senza tracce di paure, in uno spazio che al di fuori dei Rifugi antispecisti, purtroppo, è solo utopia. Spesso qualche pecora e qualche mucca (e anche qualche pony un po’ dispettoso come Fiaba) passa per dissetarsi con acqua fresca, oppure per salutare cercando una carezza. Quasi sempre arriva Irene con l’ombra di Diana, due delle cavalle salvate dall’allevamento denominato l’Inferno alle porte di casa. Diana non vuole avere interazioni con gli animali umani e noi lo accettiamo, ma osserva attenta la sua compagna Irene che pretende sempre una carezza”.
La stessa attenzione è quella che volontarie e volontari mettono nell’osservare i rifugiati. Un compito molto importante e delicato è quello di assicurarsi che stiano bene e, nel caso, chiamare il veterinario per un controllo. Non sempre i malesseri sono evidenti: servono conoscenza ed empatia per riconoscere subito se qualcosa, anche di piccolo, non va. Ogni giorno, poi, vanno somministrate con attenzione le integrazioni a chi è più anziano e le terapie a chi ha necessità.
Sono già tante le cose fatte, ma la mattinata non è ancora finita: è il momento delle pulizie.
Forca, pala, rastrello, con braccia e mani, sono gli strumenti fidati per ripulire ogni singola zona da cacche, paglia sporca e fieno sprecato. Se i box dove i rifugiati dormono non sono puliti, si provvede al cambio: si divide la paglia pulita da quella sporca, che viene buttata, e si procede all’integrazione con nuova paglia intonsa. “Tutto lo sporco viene caricato sul trattorino e poi dritto in letamaia. Svuotare il trattorino è un mix di emozioni che vanno dalla soddisfazione, quando lo sporco è leggero da inforcare e lanciare in cima al letame, alle imprecazioni nel caso opposto e sotto al caldo estivo!” (Diletta).
Si è quasi fatta l’ora di pranzo. Prima, però, un altro giro fieno nel piazzale, per non lasciare le capre e pecore senza cibo, e un cambio di acque. La stagione è calda e le vasche si scaldano in fretta. E, nel mezzo della routine, chi lo sa cosa può succedere: quasi mai il percorso è lineare. “C’è sempre qualcuno da accogliere al cancello per la consegna di animali feriti, o bisogna partire in fretta per un soccorso… e così la giornata si allunga a dismisura, perché significa lasciare a metà quello che stavi per partire ed andare ad aiutare chi è in difficoltà” (Diletta).
Finalmente, una pausa: Francesco raduna chi è di turno (meno in settimana, di più il sabato) in cucina per pranzare insieme e per un caffè veloce.
Nel pomeriggio, le attività variano: pulizia extra, un aiuto alla parte del CRAS, dove ci occupiamo dei selvatici, soccorsi all’esterno… Finché è tempo di organizzare le chiusure: si prepara la cena (c’è una macchina apposita che frulla a tondini una quarantina di chili di carote per caprioli, cervi, e daini che vivono al rifugio e per quelli in degenza momentanea, mentre guariscono in attesa di essere rilasciati; ma se la corrente salta, com’è successo di recente a causa di un lungo black-out provocato da una tromba d’aria, e la macchina non parte, non è che gli animali saltino il pasto: tocca al famoso “olio di gomito” e i 40 kg di carote vengono tagliati a mano…), si fa un altro giro di fieno e acqua, si controlla che tutti stiano bene e ci si assicura che ognuno sia pronto a passare una notte sicura. Ancora più attenzione è rivolta alle creature più fragili, che vengono accompagnate nei box per dormire, così che siano al riparo in caso di pioggia o se le temperature si dovessero abbassare.
Tutto è a posto… si può andare: con fieno e paglia tra i capelli, una montagna di passi nelle gambe e un pensiero, che condivide Mariaflora ma che accomuna il nostro cuore pulsante, volontarie e volontari che, con il loro lavoro impagabile, ci permettono di far vivere centinaia di animali in una casa accogliente e sicura : “Le giornate a Rifugio Miletta sono sempre molto impegnative, specialmente in questo periodo dell’anno, ed è difficile trovare il tempo di occuparsi di tutto… Nonostante ciò, sono anche costellate di soddisfazioni e gioie condivise, per i progressi di salute che un animale malato sta compiendo, nel vedere la fiducia e l’amore che gli animali abitanti di rifugio Miletta ci concedono, e nel vedere la serenità delle loro giornate, consapevoli che saranno sempre amati e accuditi al meglio delle nostre capacità”.
La cosa migliore che possiamo fare per gli animali rifugiati, dopo aver dato loro una seconda opportunità, è farli vivere in un ambiente più salubre possibile, di accoglienza, sicurezza e libertà. Un posto dove non mancheranno mai il cibo buono, l’acqua fresca e un letto pulito, preparati da persone umane per persone non umane senza voler niente in cambio, nemmeno una carezza forzata, perché il rispetto è un pilastro e si lavora perché è giusto, non per ottenere un rendiconto garantito. Con la consapevolezza che un sogno come Rifugio Miletta richiede tanti gesti “normali”, pratici, a prima vista anche un po’ noiosi per poter continuare a essere la splendida realtà che stiamo costruendo insieme.
Chi fa volontariato fisico è il motore di Rifugio Miletta e chi ci sostiene è il carburante che permette di tenerlo in moto: scopri qui come aiutarci.